In progressiva diffusione le popolazioni di papavero resistenti ad alcuni erbicidi, come le solfoniluree e il 2,4-D. La prevenzione passa dalle rotazioni colturali e dall’alternanza di sostanze attive dai modi d’azione differenti.
Noto ai botanici sistematici con il nome di Papaver rhoeas, fra gli agricoltori e i tecnici di campo è più comunemente noto come papavero, altrimenti chiamato anche rosolaccio. Trattasi di pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Papaveraceae e viene data per originaria dell’Eurasia e del Nordafrica.
Favorita dai climi temperati, questa specie si è infatti largamente diffusa nelle aree mediterranee e quindi anche in Italia, divenendo pressoché ubiquitaria in special modo nei territori pianeggianti. Cresce infatti diffusamente lungo i bordi di strade e ferrovie, rinvenendosi anche in prati e altre superfici non coltivate. Fra le colture che più ne patiscono spiccano però i cereali, potendo talvolta il papavero infestarne gli appezzamenti sino a dominare i rapporti con la coltura e persino con le altre erbe infestanti.
Ciclo biologico e produzione di alcaloidi
Di norma, negli ambienti italiani il papavero fiorisce in primavera, soprattutto da aprile fino a metà luglio, ovvero nel momento in cui i cereali autunno-vernini vanno dalla levata alla raccolta. I suoi semi saranno poi raccolti nelle caratteristiche capsule e una volta caduti a terra entreranno in uno stato di dormienza. Inoltre, la sopravvivenza dei semi può arrivare fino a dieci anni, rendendo quindi più complessa la gestione di questa malerba.
Infine, a titolo di curiosità, anche il papavero comune contiene alcaloidi, sebbene a livelli molto diversi dal papavero da oppio. Fra questi il principale alcaloide risulta essere la rhoedina.
Il problema delle resistenze
I primi casi italiani di papavero resistente agli erbicidi risalgono alla fine degli anni ’90, con pochi casi a carico del 2,4-D, in uso su cereali da diversi decenni, cui però si affiancavano già i primissimi casi di resistenza alle solfoniluree. In Italia questa nuova famiglia chimica è entrata in uso su frumento solo ai primi anni ’90, quindi la reazione dell’infestante è stata decisamente veloce, sebbene limitata nello spazio.
I casi si sono poi rapidamente moltiplicati, con gli ALS inibitori che hanno mostrato una crescita più veloce rispetto a quella del 2,4-D. In alcuni casi, la resistenza è divenuta multipla, segnalandosi popolazioni di papavero indifferenti sia alle solfoniluree, sia all’ormonico.
Al momento, le popolazioni resistenti sono prevalentemente presenti nell’Italia centro-meridionale, ovvero in Toscana, Umbria, Lazio, Puglia, Basilicata e Sicilia, pur rinvenendosi anche in Veneto, Lombardia e Piemonte.
Le buone pratiche di gestione delle resistenze
La prevenzione rimane l’approccio migliore, pianificando rotazioni con colture sulle quali sia possibile effettuare diserbi con erbicidi dal meccanismo d’azione differente da quello di ALS inibitori e ormonici. Per esempio, su girasole possono essere impiegati erbicidi quali pendimetalin, oxyfluorfen e aclonifen, efficaci anche su papavero. Possibile anche il ricorso alla sarchiatura meccanica, in caso la coltura in rotazione la consenta.
Quanto al frumento, sono consigliabili sempre miscele di sostanze attive aventi modi d’azione differenti, affiancando agli ALS inibitori anche sostanze attive come diflufenican, inibitore della biosintesi dei carotenoidi.
Norme generali per un diserbo ottimale
• Verificare sempre il corretto funzionamento delle attrezzature da diserbo.
• Utilizzare sempre la dose consigliata in etichetta.
• Intervenire nei momenti di massima sensibilità delle malerbe, evitando il più possibile le applicazioni su piante già in avanzato stato di sviluppo.